- Mi parli del suo lavoro
- Non è facile parlare del proprio lavoro, non so bene cosa mi spinge a fare quello che faccio. Purtroppo del portato dei miei quadri non so nulla, posso però, come spunto per il nostro confronto, con lo scopo anche di ben organizzare la mostra, parlarle dei sommovimenti del mio animo e delle sensazioni che mi abitano durante e dopo la fine dell'opera.
L'immagine arriva dal fondo, da un di dentro difficilmente leggibile e si presenta più spesso come un'ossessione o addirittura come un limite invalicabile del quale vorrei a volte addirittura liberarmi per non dovermi più riconoscere in quello che faccio. A volte è un errore e devo trovare il modo. È una lotta tra ciò che desidero e ciò che si impone. La materia ha le sue leggi, sovente per me in dicotomia con l'immagine. Ecco perché vivo spesso il soggetto del mio quadro come un contenitore per la pittura. Credo di lasciare all'immagine una serie di fratture che non le permettono mai di essere unitaria, o almeno a me sembra così. Il diviso è una sensazione fisica che nella mia pittura di rado mi abbandona. E le mie ossessioni primarie, come può ben vedere, sono i volti e i corpi delle persone che non riesco mai ad inserire in un ambiente, in un contesto. Il mio amico pittore Tanzola, dice che sono bizantina e che le mie sono quasi delle icone. 
Io vedo un'immagine che non racconta più nulla, e la pelle della pittura e cioè la sua tecnica, il modo in cui viene realizzata diventa il carattere singolare, incarna in qualche modo tutto il
significato. E' un'idea che cerca di diventare un corpo, una presenza fisica con la sua autonomia. Parlo di tecnica e lavoro quindi molto sulla tecnica che però seguo e che cambia durante tutto il processo. Lei non è in mio potere. Ed ho la sensazione ogni volta che inizio un dipinto di non sapere nulla di quello che accadrà e che sarò in grado di fare. La tecnica si traduce in qualcosa d'altro e per me la cifra misteriosa del dipinto è tutta qui. 
Lavoro molto su questi volti e su questi corpi, in maniera lenta, caricandoli un po’ alla volta di
tantissime pennellate. Tra uno strato e l'altro cambiano e si appesantiscono sempre di più. 
Emanuele Beluffi, un mio amico curatore, la definì tempo fa una sorta di "anatomia dell'anima dei volti". 
E queste facce, questi corpi di esseri umani, sono a volte costruiti prendendo pezzi da più soggetti, che scelgo senza un preciso criterio (perché sono volti familiari o perché sono a portata di mano, non sempre perché mi piacciono in maniera speciale) e che vengono il più delle volte caratterizzati da colori lividi e da qualche deformità. Questo mi è stato fatto notare, ed io non me n'ero accorta.
Vede quant'è davvero difficile capire che cosa stiamo facendo. Il pittore o forse l'artista (anche se non amo usare questa parola) è veramente un cieco.
Talvolta poi mi lascio andare a qualche composizione organica di piante, fiori o simili dall';aspetto un po’ metamorfico, finora mi hanno sempre dato un po’ di respiro. Una pausa dall'umano chestanca molto.


- Come si spiega il passaggio dall'illustrazione alla pittura? 
- Ho sempre provato una grande attrazione per il disegno figurativo, fin da bambina. Ho cominciato a 2 anni con penne e matite, soprattutto la penna, le matite avevano un segno troppo debole. 
Pensavo ad un modo per interagire nel mondo del lavoro coltivando questa grande passione. Così decisi di diventare un'illustratrice. Volevo imparare a disegnare le cose che vedevo e ad usare tutte le tecniche. Possedere la tecnica è sempre stato il mio grande obiettivo e lo è ancora. Non pensavo minimamente all'arte, nemmeno sapevo il significato di questa parola. Io volevo riuscire ad inserirmi nel mondo e l'illustrazione mi sembrava un buon compromesso.
L'ho fatto per molti anni ma avevo comunque delle difficoltà, la cifra dell'illustrazione ha in sé una ripetizione, una sorta di elemento decorativo che racconta qualcosa di molto preciso. Una sorta di didascalia dentro la quale non riuscivo a stare. Non per mia volontà, forse non c'ero tagliata! Io non ho niente da raccontare e tendevo sempre a ripartire da zero ogni volta.  Ero più portata per il singolo pezzo. Proprio ad una fiera di Illustrazione per l'infanzia incontrai il mio primo gallerista, che mi propose una collaborazione. Cominciò così, per caso. Un poco alla volta cominciai a capire cos'era la questione artistica. Per me significò cadere dentro me stessa nel bene e nel male. Avere a che fare con l'evento. Fu una grande rivoluzione. Tutto questo ancora oggi mi chiama e mi dice di andare avanti, ma non mi diverto più come quando facevo illustrazioni. Come illustratrice facevo quello che sapevo fare, come pittrice non so fare nulla. 


- Quale il suo rapporto con i pigmenti, con il materiale
- Il mio rapporto con i pigmenti, con le tele di lino, con i materiali che uso... molto semplicemente faccio acquisti nei negozi di belle arti. I supporti sono molto difficili da scegliere perché cerco unfondo aggrappante, liscio, dove la materia pittorica possa scorrere ma non troppo. Siccome dipingere è infine avere un'esperienza con la materia, il lavoro funziona se fisicamente risponde e questa risposta me la dà il supporto, il fondo. Sulla tela è molto difficile costruire, mi ci vuole molto lavoro e tanta pazienza, sulle tele e sul lino le cose cambiano in maniera imprevedibile, tutto resta mobile molto a lungo. Il legno e la carta invece sono molto più aggrappanti, danno una certa stabilità, pongono dei limiti. Cerco un fondo perfetto su cui potermi muovere, e che mi dia la risposta fisica che cerco, ma naturalmente non l'ho ancora trovato. 


- Dove dipinge? Quando? 
- Lavoro a casa, ho una piccola stanza con tutto ciò che mi serve per dipingere e disegnare... tavoli, cavalletti, pennelli, colori... e molti altri accessori. Dipingo e disegno (ho ripreso a disegnare molto) sempre, da mattina a sera quando posso, tra un lavoro e l'altro (perché per vivere devo fare anche altro), e spesso anche prima di andare a dormire. 


- Quali altri pittori frequenta? Quali le piacciono? 
- Ho alcuni amici pittori molto bravi (Padovani, L'Altrella, Bidoli, Robboni), ogni tanto capita di potersi incontrare per parlare di pittura, non spesso purtroppo. La mia migliore amica Barbara
Fragogna, un'artista dalle idee geniali, invece mi è spesso accanto. 
Ci sono veramente tanti pittori che mi piacciono, e davvero mi è difficile fare una lista ma a voler fare qualche nome mi vengono in mente Renzo Vespignani, Lucien Freud, Dagnan
Bouveret, Edwin Dickinson, Carlos Nine, Felice Casorati, Ferenc Pinter, Gerard Brockhurst,
Segantini, Giuseppe Pellizza Da Volpedo, Holbein, Ivan Albright, Jules Bastien Lepage, Kathe
Kollwitz, Lotte Laserstein, Norman Blamey, Olga Boznanska, Jules Bastien Lepage, Spenser, A. Wyeth... potrei continuare ancora per molto...
E anche per i miei contemporanei che lavorano nel presente la lista potrebbe essere molto lunga, mi basta una singolarità per essere felice. Gioisco molto guardando il lavoro degli altri.
Anche qui a voler fare qualche nome mi vengono in mente Nicola Samorì, Antonio Garcia Lopez, Pietro Roccasalva, Vania Comoretti, Pat Andrea, R. Mannelli, John Currin, Anj Smith... -
Greta Bisandola (Monselice 1976), diplomata in grafica inizia la sua carriera di illustratrice nel
1996, collaborando con agenzie pubblicitarie e case editrici. Avvicinandosi sempre più alla pittura, dal 2006 comincia ad esporre le sue opere in sedi nazionali ed internazionali tra le quali Kunsthaus Tacheles (Berlino), Palazzo Durini (Milano), Museo Civico (Bassano del Grappa), Museo Diocesano (Padova), Museo Civico (Asolo). 

 

Entra a far parte con i suoi lavori del progetto The Bank Contemporary Art Collection.
Vive e lavora a Padova.

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Foto realizzate da Simonetta Caruso

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Di Lisa Peet critica, scrittrice, editrice ed artista che vive nel Bronx

Brooklyn Queen: Magical Things e altri dipinti di Meridith McNeal

Oggetti magici e pop poetici dell’artista americana

Ogni opera d’arte racchiude in sé due tipi di gesti: quelli dell’artista e quelli dello spettatore. I gesti
dell’artista sono spesso diretti e più facilmente individuabili - nel modo in cui la pittura viene
applicata, come la penna viene tenuta, nello spessore o nella delicatezza di una linea. Ma esiste
anche il suggerimento implicito, come l’artista guida il suo pubblico; che cosa ci sta domandando?
 
I dipinti di Meridith McNeal acquisiscono una ‘feroce’ energia dinamica da un’opposta, e allo
stesso tempo compatibile, sequenza di messaggi. I dipinti – una collezione di oggetti 30.5x30.5cm
intitolati “Magical things” (oggetti magici) - e una finestra aperta sul mare e la città di Sperlonga -
richiedono due tipi di azione da parte dell’osservatore. McNeal ci sta chiaramente convocando,
invitandoci attraverso la finestra a grandezza naturale che si affaccia su un paesaggio seducente;
allo stesso tempo ci sta anche chiedendo di soffermarci, di aspettare, ed osservare più da vicino ciò
che si trova all’interno. Oltre al rispettivo paesaggio esterno, il dipinto di finestra allude ad un
interno affascinante, a volte in modo diretto ma più frequentemente solo attraverso l’accenno di ciò
che si trova oltre la cornice. La raccolta “Magical Things” rende questa direttiva ancora più
esplicita; in ogni piccolo dipinto infatti, McNeal presta un’amorevole attenzione ad oggetti comuni
che rischierebbero di passare inosservati senza la sua guida.
McNeal ci offre le meraviglie del quotidiano. Magical Things, una serie di studi ad acquerello ed
inchiostro, venera gli oggetti facilmente ignorati della vita quotidiana: un barattolo di miele locale,
un tubetto di dentifricio, una caffettiera appoggiata su una presina fatta a mano. Con l’aiuto devoto
dell’artista, questi diventano totem, Milagros, amuleti di consapevolezza, intrisi di un potere più
grande della somma delle loro parti. Mentre il dipinto della finestra suggerisce ampiezza e vastità,
queste piccole opere si esprimono ad alta voce contro l’impulso di dare tutto per scontato. Anche
questi, giocano con lo stesso senso di profondità che ha la finestra, ma su scala completamente
diversa. La tattilità sorprendente di un braccialetto, una bandana, o di una - questi sono davvero
oggetti magici, e non solo per l’artista che li celebra.

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